mercoledì 1 settembre 2010

Riempire un vecchio libretto delle assenze con scuse inventate.

karl-marx

Maledetto. Donna con gli occhi che non mi ricordo. E la voce piccola. Azzurro. Non c’è nessuna logicità in questo. Però la pelle mi pesa, potrebbe scivolare semplicemente da un momento all’altro, cade verso il basso. Prima o poi avrò le rughe. E la pelle cadente. Intanto osservo gli altri invecchiare. Con le loro giacche di pelle e i loro completi eleganti. Io sono con la barba di Marx, potrei sembrare vecchio. I sottotitoli in ritardo rispetto alla voce, la voce in ritardo rispetto alle labbra, le labbra inzeppate di pensieri a pressarsi in fondo all’uscita.  In ogni caso andiamo avanti, qualcosa da rubare c’è sempre, prendi tutto tu. Di queste assenze rimandate all’autunno. La confezione di posate di plastica prendila tu, io bado alla sovversione. Forse decolleremo in banali vortici di disattenzioni. I bracciali che porto al polso rimangono finché non si slacciano la prima volta, dopo non li ho più visti. Se fosse un incontro qualunque, al supermercato, fingerei di cercare il dentifricio al reparto surgelati, osserverei la tua mano ritirarsi dal freddo dello scaffale, ruvida di condensa. Come impedirlo. Assumi l’atteggiamento scialbo di un venditore di orologi. Lui non si accorge di vendere il tempo. Altrimenti cerchiamo un locale più grande. Per acquisire maggiore visibilità. Io non l’affronto, io l’ultima volta che mi hanno chiesto il nome l’ho letto sulla carta d’identità, io sono fuggito senza preavviso verso un manto di scale che non ho neanche avuto il coraggio di salire. Come I pupazzi dei parchi giochi quando fanno finta di tapparsi gli occhi con le mani. e in realtà gli occhi gli occhi ce li hanno all’altezza della bocca. Nausea come rigetto di qualcosa che si agita da dentro. Oppure. Nausea come rifiuto di qualcosa al di fuori di noi. Cosa c’è di speciale nel primo giorno del mese, non ho neanche un calendario da strappare. Però quest’aria l’adoro.  Dovremo imparare dai parcheggi inventati, quando si ha fretta di sistemarsi, quando ci spingiamo al limite dello scontro per renderci consapevoli, e sistemarci I capelli dietro alle orecchie. Tutto nello stesso specchio. Da quale tassello di diversità proviene questo rancore, da quale altro l’astio per le convenzioni, per la banalità. io il telefono lo lascio squillare indifferente.  io forse degli altri odio soltanto gli stessi difetti che ho io.

quando sarai grande non dare mai confidenza agli sconosciuti, al massimo donagli qualcosa di te.

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