venerdì 4 febbraio 2011

Compattezza di un bosco




chiudetevi in strada, fra le fessure ritagliate dalle sagome dei passanti, raccogliete deplorevoli manciate di occhiate spente e vacue, fra le scie d’automobili lanciate l’una contro l’altra, in corsie fuse dalla vicinanza col marciapiede sfiancato, da una giornata intera di chiacchiere e buste della spesa, mi ricordo di quando comprai il mio primo giaccone pesante, era per il viaggio in Russia, era per il primo giorno di lavoro da capoufficio, era per la nipote allergica ai latticini, sono proprio contenta di trovarti bene, meglio se quando ricevi certe telefonate fai finta di niente, fate finta di niente, prendetevi dieci minuti per pensare all’ultimo sogno, di lei che usciva di casa e aveva il torcicollo e voi gli carezzavate la schiena e un graffio piccolo, come disegnato, domani se andiamo al cinema è gratis perchè ci sono le targhe alterne, dieci minuti a mettere a fuoco le figure opache filtrate dalla tenda, dalla finestra, dall’acchiappasogni di legno, dal terrazzo, dalle tovaglie a quadrettoni appese alla ringhiera, dagli alberi e dai fili del telefono, talmente leggere da sembrare ombre al mattino o macchie di sporco da cucina.
dieci minuti per immaginare che intorno all’ora di pranzo, di fronte a uno specchio, lei osserverà il riflesso distratto dell’appendiabiti accanto alla porta e un ombrello marrone anonimo, che diventerà una serata di dicembre accalcata al riparo di una tettoia all’ingresso di un cinema, che diventerà una parete di fiori rosa rampicanti in un casolare vicino al lago, che diventerà un racconto di Pasolini, scoperto per uno degli ultimi esami, che diventerà un incontro timido-invadente e leggiti-questo-pezzo-che-è-davvero-bello, che diventerà un sorriso piccolo, mascherato in una candida smorfia sottile e di capelli rossi.