domenica 7 febbraio 2010

Baricco/Hoppipolla

E' che nei libri di Baricco la storia principale è solo la cornice.
per lo meno nell'idea che mi sono fatto. principalmente lui vuole comunicarci delle idee
roba su cui ha ragionato. idee sue, originali, oppure vuole dipingere delle immagini
presentare un personaggio come metafora o ancora
raccontare delle storie. storie piccole
in definitiva tutta una serie di idee giustapposte, non c'è un disegno narrativo principale
la storia si forma da se, e piano piano acquista anche un senso più o meno totalizzante
il punto è che sono le parole stesse a trovargli un senso
il punto è che le parole il senso se lo trovano in un qualche modo
SE VOGLIONO lo trovano, è una cosa connaturata
la parola è parola in quanto tale in seguito a una sorta di selezione naturale
selezione mentale, selezione verbale
e in quanto tale un insieme di parole raccolte tende a ritagliarsi un significato
più o meno plastico, più o meno compatto
un libro di Baricco finisce quando lui ha finito le idee da esporre
quando ha finito le storie da raccontare, non con l'effettivo finale narrativo
quello è solo un espediente, solo per la consuetudine generalmente concordata
che i libri debbano avere una fine.
in realtà il libro finisce prima
per quello il finale fisico a volte è deludente
deludente come tutte le consuetudini forzate


a ripensarci sto fatto che tutto tende ad acquistare un senso
è stupendo
non so, ho in testa un immagine
una pozzanghera
voglio parlare delle pozzanghere
roba semplice insomma. da campagna e strade sterrate
però se uno ci pensa
non è poi cosi tanto banale
la pioggia batte in tutti i punti lungo una strada
di per se è abbastanza logorante
c'è anche una parola apposta. l'hanno inventata proprio per l'occasione
stillicidio
che contiene in se una specie di sottinteso risvolto penale*
la strada regge. assorbe. trasuda e sputa.
la pioggia attacca il terreno. tutto.
ma le pozzanghere finiscono per formarsi in luoghi specifici
secondo una qualche ignota logica pluviale
l'acqua inizia ad accumularsi e a suo modo
scava

e uno può starsene li ore a domandarsi se era colpa di quella porzione di terreno
poco permeabile. arrendevole.
o di quel settore di cielo sovrastante.
pioggia più fitta. accanita.

senza ricavarne un effettiva risposta.

restano le pozzanghere. finito il temporale,
e ad averci il cervello di un bambino,
vuoto di teorie, spiegazionie e delusioni
a guardare quegli specchi li, illuminati da un sole emancipato
penseresti semplicemente che sono pezzi di cielo
caduti li
dove la terra era pronta ad accoglierli.
e trattenerli.

ad averci le gambe di un bambino
inizieresti a correre
e pur di evitarle, le pozzanghere
ci finiresti dentro
consapevolmente sorpreso
dei piedi bagnati e dei pantaloni sporchi. sporchi di cielo
e saltelleresti risate con i rainboots gialli
saltelleresti a crepapelle da uno specchio all'altro
pura
scanzonata
inspiegabilmente liberatoria
disobbedienza




*sarà che la usavano come tortura, nel medioevo
gocce in testa ininterrottamente e un fastidio che
diventava delicata pazzia.

giovedì 4 febbraio 2010

Apodosi

"Periodo ipotetico dell'irrealtà: l'ipotesi nella pròtasi è non vera o impossibile, non può realizzarsi
o avrebbe potuto ma non è mai accaduta .

Se fossi stato in te (pròtasi), non mi sarei comportato così. (apòdosi)
Se l'avessi saputo (pròtasi), sarei venuto immediatamente. (apòdosi)"



Beh pensavo che il periodo ipotetico dell’irrealtà andrebbe eliminato dalla lingua italiana.
Bisognerebbe fare un indagine antropologico-linguistica.
Verificare quali sono gli idiomi che non hanno questo costrutto.
E’ vedere se chi parla queste lingue è più o meno felice. Di noi. Noi delle lingue romanze

Sicuramente avranno meno rimpianti.
Magari avranno una sorta di Sensucht interiore, uno struggimento
Ma gli mancano i mezzi linguistici per arrovellarcisi dentro
Per logorarsi lo stomaco in ipotetiche certezze vacue
E allora si fermano li. Prendono atto di quella sensazione.
Gli danno anche un nome magari. Ma poi si fermano li.
Lo osservano da lontano, quel dolore.
E per quanto sia lo stesso, a guardarlo da lontano è molto più sbiadito
Più leggero.

Quindi non so. Scriverò una lettera alla Crusca prima o poi.
Abolite il periodo ipotetico del terzo tipo, e magari già che ci siete anche il condizionale passato
Sono il mezzo con cui materializziamo i nostri rimpianti
Li rendiamo tangibili.

E che finchè una situazione deriva da una scelta effettiva
Mi fa pure bene. Starmi a interrogare sulla scelta. Magari evito di farla.
Dicono saggiamente “imparare dagli errori”.
Ma quando una situazione deriva da una condizione o da una scelta non tua.
Tu su cosa stai a interrogarti?
Inezie ingigantite. Ingigantite guarda un po’ dal periodo ipotetico dell’irrealtà

Se quel giorno avessi comprato penne rigate invece del riso che ci mette mezz’ora a cuocersi
Se quel giorno avessi preso l’ombrello
Se quel giorno avessi preso l’autobus invece che andare a piedi
Se quel giorno mi fossi svegliato 5 minuti prima
Se quel giorno avessi preso l’ascensore invece che le scale

Beh il periodo ipotetico dell’irrealtà
Materializza qualcosa di effettivamente irreale
Ci da l’illusione con il suo materializzare eventualità
Che queste eventualità siano effettivamente modificabili
Effettivamente influenzabili

E’ che se alle cose gli dai un nome poi esistono
Prima no.
Prima sono solo intuizioni
E se gli dai un verbo. Un tempo verbale apposito anzi
Finisce che agiscono
In quella dicotomica tregua che è l’assegnazione di una parola
A un idea

Tolto il tempo verbale. Dovrebbero iniziare a insegnarcelo dalla nascita.
Come ci insegnano che non si mettono le dita nel naso.
Che non si salta sui letti con le scarpe.
Che la minestra non si aspira dal cucchiaio
Che non si lasciano le luci accese se non c’è nessuno in camera
Che non ha senso menarsela su presunti presenti alternativi
Che non dovremo proprio concepirla l’idea delle modifiche al passato

E’ che il nostro cervello astrattamente ci riesce. Sposta due o tre cose
E ci da in regalo a grandi linee un presente costruito in modo idealmente perfetto.
E ci da in regalo questa procace illusione
Idealmente perfetta
E assolutamente inutile.
(alla Crusca la chiamano masturbazione cerebrale)

Invece ci hanno solo fatto vedere Sliding Doors.
Per insegnarci che se almeno questo non è il presente migliore che potessimo immaginare
Per lo meno in questo presente siamo vivi.
Una consolazione.

Entropia a parte
Viviamo in un mondo di situazioni tecnicamente irreversibili
Ma formalmente reversibili.
Per dire. Perdi la felicità
Magari la ritrovi. Un giorno.
Solo che magari avrà altri occhi.

mercoledì 3 febbraio 2010

Scoperte


cinquantapercento predisposizione fisica.
cinquantapercento condizionamento ambientale.
pensavo che affacciarsi per anni alla finestra e trovarsi davanti un giardino, una siepe che copre la città lontana e nel resto del paesaggio, le montagne di un orizzonte bloccato a pochi chilometri. un qualche ruolo nella tua personalità deve avercelo.
intanto ti cambia la concezione del tempo. hai davanti il movimento impercettibilmente continuo di una foto apparentemente immobile escludendo gli intermezzi di vento, qualche passeroto e, evento eccezionale, un upupa (uccello con la cresta dalle tendenze evidentemente post-punk). il passare del tempo tradotto in testa come semplice variazione di luminosità.

ci sono quelli che affacciandosi alla finestra hanno una città intera. il loro tempo è scandito dal flusso continuo di automobili che migrano a velocità non umane. al parossistico avvicendarsi di passi distrattamente accoppiati, magari di fronte a loro c'è un altro palazzo, un'altra finestra in cui specchiarsi, facendo parte essi stessi della foto di qualcun altro, code e clacson in corrispondenza degli orari di lavoro, silenzio amplificato durante la notte.

pensavo che metaforicamente parlando (dietro neanche troppo nascoste influenze Hessiane) direi che l'ideale sarebbe affacciarsi alla finestra e averci un fiume che scorre. tempo come variazione di luce, movimento e al contempo immobilità acquiescente. idealisticamente perfetto. ovviamente poi nel pratico hai problemi con l'umidità.

pensavo che quando da piccolo sei abituato a giocare da solo. senza neanche l'incomodo di crearti un amico immaginario. poi affronti la solitudine in modo pervicacemente sereno. e che poi quando veniva a trovarti un amico era una specie di gioia intima, e che quando arrivava qualcuno a riprenderselo cercavi di rimandare la dipartita per più tempo possibile.

pensavo che avere il compleanno in un giorno di festa nazionale da piccoli ti fa sentire importante.
e che se nasci d'inverno ti vedi subito la fiamma rossa del camino e gente imbacuccata fino all'anima e se nasci d'estate vedi gente svestita. rosa e nuda come te. e quando dormi c'hai addosso un peso leggero, non un piumone protettivo.

qualche mese fa parlavo degli scontri evitati sul marciapiede. certe immagini poi tornano di continuo.si arricchiscono di diverse e impensabili connotazioni. è che a dipingerla come metafora esce fuori un immagine Magrittianamente surreale. stanno camminando sul marciapiede. in senso opposto. magari guardano da un'altra parte fatto sta che è un attimo a scontrarsi. fronte contro fronte. un attimo dopo è un abbraccio imprevedibile e caldo, a medicare la sorpresa dello scontro. un attimo dopo ancora riprendono i loro rispettivi cammini. un semplice incidente di percorso. a guardarlo da fuori.

Coperte

Ogni tanto gli occhiali si rompono. non che li porti poi cosi spesso. e odio l'equivocabilità dei congiuntivi.il soggetto della frase ero IO. non ha senso, migliaia di verbi, coniugazioni, forme irregolari, tempi verbali, e poi ti vanno a mettere le prime persone singolari dei congiuntivi UGUALI. poi ci vengono a parlare di incomunicabilità. potevano darci una lingua migliore. e degli occhiali migliori. a conti fatti non sembra così conveniente avere degli occhiali da sole. almeno per me.
C'era qualcosa che bruciava dietro le montagne, una specie di aurora evidentemente con lei idee poco chiare. per trovarsi li. a quell'ora del giorno. o forse erano solo nuvole a forma di fumo colorate di tramonto. ma non era così semplice. erano sbuffi immobili in caduta. e io ho pensato al momento in cui una nave, prima di affondare definitivamente, ha una sorta di slancio verticale e in quello slancio si ferma.
immobile.
in caduta.
non era un immagine precisa, ma quello mi era venuto in mente a starmene li a guardare.
erano rosa.
nuvole rosa dietro alle montagne blu. una specie di cross processing al naturale
o qualcuno che aveva messo il rullino sbagliato
io poi avevo preso la versione sbagliata
era in svedese
ma la scena del bambino sul letto che cerca di coprirsi con una coperta l'ho capita lo stesso

"La verità è una coperta che ti lascia scoperti i piedi
Tu la spingi, la tiri e lei non basta mai, anche se ti dibatti, non riesci a coprirti tutto
Dal momento in cui nasci piangendo al momento in cui esci morendo, ti copre solo la faccia e tu piangi e gridi e gemi." (cit. L'attimo fuggente)

qualcuno diceva che anche l'amore è una coperta troppo corta
siamo pieni di coperte fottutamente corte.
o forse siamo troppo alti noi. e le coperte quando sono impacchettate
non te ne rendi conto bene della misura.

E' che una giornata di sole invernale non basta ad asciugare il fango
e allora mi sono dovuto fermare prima. per non sporcarmi le scarpe.