giovedì 2 settembre 2010

Invettiva toponomastica


sono stufo.
stufo dei passi in soffitta alle quattro di notte a lanciarci il cuscino contro, per non disturbare gli altri, colpire il lampadario che ondeggiava già e cercare le scarpe a tentoni sul lato sbagliato del letto.
stufo di ascoltare la lavatrice rotta utile solamente ad appoggiarci i detersivi e l'accappatoio umido.
stufo della gente che si soffia il naso nei fazzoletti, perchè io non sono capace.
stufo delle rime baciate e un po' meno di quelle concatenate.
sono stufo di chi indossa i calzini di due colori differenti e poi prentende anche di avere l'alito buono
dei tasti scambiati sulle macchine da scrivere che riempono le mie poesie di v doppie inutili
degli spacciatori ai lati delle scalette che sembrano volerti imboccare a forza
di scordarmi ogni giorno di ricomprare il dentifricio e aprirlo con le forbici per cercare cioò che è rimasto
della solita gente ma con facce diverse, della gente diversa ma con gli stessi nomi, degli stessi nomi con diverse implicazioni psicosomatiche, delle implicazioni psicosomatiche proiettate in innamoramenti continui di capelli corti neri, dei capelli corti neri tagliati ancora più corti per l'arrivo della nuova stagione, della nuova splendida stagione che prospetta di essere narrata abbondantemente, delle narrazioni abbondanti che sfociano in mesmerismi ambulanti, dei mesmerismi ambulanti che ingnoro proprio cosa volessi dire, di quello che voglio dire che molto spesso è indice di dissociazione interiore, della dissociazione interiore abbondantemente studiata da sigmun freud e da carl gustav jung, di carl gustav jung che era quello degli archetipi, degli archetipi ricorrenti come del resto i topos, dei topos dellle canzoni degli aftehours, delle canzoni degli afterhours che ogni tanto ne esce fuori una nuova che ignoravo completamente, delle cose che ignoro completamente e di quelle che invece capisco troppo bene non capendole affatto, di quello che non capisco affatto perchè forse la soluzione non è in quello ma nella faccia, nella faccia ogni mattina allo specchio diversa come se fossero passati anni al risveglio, degli anni del risveglio quelli in cui ho preso coscenza di me stesso, della coscenza di me stesso la stessa che mi attira negli altri, degli altri che per Sartre sono l'inferno, dell'inferno del nulla interiore e posteriore, dell'interiorità posteriore che si ammira solo girandoci intorno, da chi ci gira intorno senza guardarti e si segna i pregiudizi su un blocco notes, dei blocco notes ideali quelli per prenderci una marea di appunti belli da rileggere e da ripassare, dei ripassi in biblioteca coi libri di poesia davanti, dei libri di poesia che non riesco a cogliere del tutto nella profondità, della profondità in cui cerchiamo il senso, del senso degli incidenti autostadali con la solita gente, della solita gente ma con facce diverse, della gente diversa ma con gli stessi nomi...

stufo dei loop infiniti.

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