venerdì 3 settembre 2010

Il primo giovedì del mondo.

17bb

Il primo giovedì del mondo indossavo la mia maglietta preferita, quella degli eventi importanti, quella piena di buchi provocati da non so che cosa. Vintage. E un maglioncino di lana. Il primo giovedì del mondo ho pronunciato il mio nome con imbarazzo, perché era buio e molta gente stava a guardare. Una telecamera ha ripreso tutta la serata. La serata era dedicata alla follia creatrice. Un giorno esploderemo anche noi. Come secchi di vernice colorata. Fino ad allora subiremo i nostri blocchi emotivi, dannate incursioni del razionale, ditemi cosa c’è di banale. Datemi modo di distinguere quello che va fatto da quello che è già stato fatto. Cosa te ne fai poi della pazzia bruciata di un’individualità consunta, pensi che ci sia della bellezza in questo. Pensi che basti il veleno a sedare la banalità. L’armadietto bloccato si è semplicemente spalancato con noncuranza quando ho chiesto aiuto a qualcun altro. Dov’eri prima del primo giovedì del mondo. Avevo semplicemente dimenticato di portarmi dietro la borsa con i libri. Da bambino portavo sempre con me un libro, anche quando prendevo lezioni di guida. Il primo giovedì del mondo si aprivano spiragli di nulla e io li ignoravo spudoratamente, come promemoria sul telefonino. Finché non metti la cintura l’indicatore acustico continuerà ad assillarti con voce crescente, qui invece dopo un po’ si placano. Non condivido queste mie invasioni immotivate, e quest’approfondimento mediato. Se ho paura delle distanze faccio qualche passo in avanti, ma non mi ricordo neanche un nome, di tutte le mani strette, in nome di una vicinanza contestualmente celata. Un uomo trasformava migliaia di numeri in frasi bizzarre che sembravano uscite dalle mie considerazioni sconnesse:

“arruffando sentieri dai risvolti metallici risuonava come circospezione declamata
all’orizzonte di cartone che gli era stato imposto di ricordare”

La buccia della frutta non andrebbe mangiata, è li che le tossine vengono immagazzinate. Eppure aneliamo alla bellezza nella scorza, accontentandoci di un esteriorità porosa.

Voglio dei pensieri abbastanza profondi, che rendano anche la pelle splendida.

 

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