mercoledì 27 gennaio 2010

Il rumore del treno


Pensava al viaggio in treno stretto nel cappotto marrone per starsene più caldi possibile
Dieci metri sui binari. Marciapiede e macchina. Pioggia leggera. Tu pensi che li dentro, starai al caldo, se non altro starai meglio. E invece ti siedi, ti fermi e arriva il freddo. E li è tutto un dare gas per scaldare il motore. Mettere il ricircolo e aspettare che l’aria si scaldi. Che magari poi quando arriva il caldo sei arrivato a casa e devi scendere.
Pensava al viaggio in treno col libro in mano. All’intensità di quelle parole, alla loro forza e alla loro velocità. Agli strappi nel tempo. Pensava che leggere Baricco gli faceva girare i pensieri a mille. Accumulava parole che poi rovesciava vomitandole su chi gli capitava davanti. Quella velocità lo realizzava. Pensava che arrivato all’ultimo capitolo era arrivato alla sua stazione. Ed era tutto perfetto così. Closintown il giorno prima che aggiustassero l’orologio. Larry alla quinta ripresa del suo incontro. Gould chissà dove. Pensava che forse poteva anche smettere di leggere li. Baricco nei finali si rovina. Dicevano cosi. E allora pensava “me ne rimango così in sospeso. Cosi che è tutto perfetto”.
Pensava che fosse fottutamente comodo. Fermarsi prima dell’ultimo capitolo. Per lo meno si evitavano le delusioni.
Pensava che stava pensando in terza persona. Solo per fare scena.
Pensava al viaggio in treno e al suono martellante di un qualche tipo di sfiato, un qualche tipo di sbuffo che se ne usciva circa ogni dieci secondi e ti mandava in bestia sia se lo aspettavi ed arrivava. Sia se non arrivava. Ti lasciava una specie di delusione. Che poi uno doveva solo esserne contento. Basta odioso rumore martellante. E invece no.
Pensava che in un duello non devi guardare alle pistole ma agli occhi dell’avversario, perché se guardi le pistole ti accorgi che sono partite solo quando ormai è troppo tardi.
Pensava a una metafora qualsiasi. Pensava a una metafora in particolare. La prima che gli era venuta in mente. Bucolica. C’è un tipo che vuole piantare un qualche tipo di pianta. Magari un fiore. O una pianta di pachino. Una pianta. Insomma all’inizio ovviamente scava una buca. Una bella buca magari, che la terra non ritorni dentro. Poi ci ripensa. Niente pianta, che ne so, sceglie di darsi alla pastorizia, o all’apicoltura. Affari suoi. In ogni caso il buco rimane. Non è che basta calpestarlo. Capisci. Non sarà più un problema dell’aspirante coltivatore, ok. Ma il buco in qualche modo va chiuso.
Pensava che dei film di Bunuel gli piaceva troppo quando passava un treno da qualche parte. I personaggi parlavano. Continuavano a parlare come se niente fosse.
Ma tu sentivi solo il rumore del treno.

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