domenica 30 gennaio 2011

Scrivere non serve a farsi amare.

Era profondamente risoluta, era non lasciarmi andare più, coi tuoi cartelli di indelebile blu appesi alla porta o lasciati sul cuscino, scivolati poi a terra dietro i comodini e per le scale, scalzi a fare finta di rincorrerti, mentre la  vicina esce di casa e corro a coprirmi i piedi, poi riscendere in un colpo secco all'accelleratore vederti uscire dipinta di determinazione assente dal parcheggio appositamente consigliato da una notte trascorsa da tempo. accadrà sempre in questo modo, ci sveglieremo improvvisamente durante i sussulti evitati nella meditazione, nelle parvenze di progettualità fluida, nei sorrisi liquidi stampati nelle orecchie,  chissà quante altre volte succederà, chissà quante altre volte no. ti chiuderai nelle tue esitazioni pre-stampate o ti perderai nella poesia di una metafora di cemento. grazie comunque di questi momenti di eternità sospesa, di panico docile, di attese sconcertanti immerse di parole e immagini in bianco e nero, grazie di queste partiture tremolanti, eseguite magistralmente fin quando non arriva il momento di girare il foglio, e allora perdersi al confine della distanza fisica, della caducità giornaliera del quotidiano pre esistente che torna a far valere le proprie prosaiche ragioni e diritti di consistenza. 

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