mercoledì 26 gennaio 2011

posso ancora smettere ma non si può.

provo a graffiare il muro col tuo nome, piano che il buio è solo un tentativo, che la notte i muri si scalfiscono con la leggerezza di una parola, ripetuta in sillabe cadenzate da minuscole pause, fra i denti e il palato, non c’è più nulla a significarla eccetto l’aria tiepida che incontra la stanza, quasi riscaldata dal movimento, quasi soffocata dal movimento, ombre-solido-imploranti e non ci sbatto più contro perchè ho memorizzato la posizione, i piedi a bruciare logorando la soglia di separazione, le mani a stamparsi schiaffi supplichevoli sui cuscini gualciti, libero eccetto il corpo chiuso e goffo e non ci ho mai trovato nulla di bello, se mai smettesse di pesare, gli stringerei volentieri la mano e lo conserverei scrupolosamente nell’armadio, in alto, come il vestito buono per i matrimoni degli altri. intorno agli occhi chiusi una piazza vuota con un ritaglio di macerie domestiche, buone a riempire discariche, deglutendo muri di rifiuti flaccidi, simbolo del disastro, e il mio personale modo di interagire con la sconfitta, calpestando i pezzi più piccoli per infastidirmi i piedi, accovacciandomi a contemplare i più grandi, che visti da vicino con la guancia-freddo-pavimento, occupano lo stesso campo visivo di una casa atterrita dal sole prolungato, e incombono imponenti, amorfi di briciole ma apparentemente compatti. 

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