martedì 23 novembre 2010

Abito

L’abitudine dovrebbe essere al massimo una consolazione, non un alibi. I colpi sul muro. Fuori da ogni ritmo. I sogni sempre più nitidi, tirar su la tapparella e aprirsi al buio, perchè allo stesso tempo una tovaglia a fiori cade giù, celeste scuro. Sul balcone l’orizzonte oscurato dalle nuvole buie, o fumo di vulcani islandesi, e un cerchio di luce, il faro di un elicottero che atterra in cortile senza il vento normalmente incluso o il salvataggio dell’economia irlandese mentre sceglie se declassare lo stato sociale o aumentare la tassa sulle aziende come quando è caduto l’appendi abiti e mi s’è stretto il cuore, che rimandasse forse a un qualche dolore travestito di metafora, ti prego non farlo di nuovo, ho preso le felpe e le ho spostate sull’armadio. Quando cado io è una liberazione. Invece  se cade qualcos’altro. E osservare attentamente è come correre invece di camminare, ci perdiamo i piani alti dei palazzi, i balconi eleganti e la gente che addobba gli alberi di natale come suggerito dalle pubblicità previdenti. Dove finiscono queste immagini, ci sarà un limite all’ingombro di particolari di cui si coronano le idee e le forme, o continua ad aver senso, giorno dopo giorno, collezionare tavoli mentali ed arredamenti componibili per abitare i proprio luoghi di riflessione, interruzioni intermittenti nella quotidiana epopea di disattenzione e disconsapevolezza. mi distraggo quindi sono. non posso essere presente di continuo, devo uscire, devo prendermi pause di deriflessione, devo perdermi altrimenti mi stanco, torno presto, tanto so bene cosa fare anche senza di me, sono abituato, sono involontario, la normalità stessa è frutto della selezione naturale, sopravvivono e si tramandano i più adatti a sopravvivere, evidentemente una telefonata allunga la vita, e anche l’iterazione pubblicitaria, la metodicità autosufficiente desensualizzata, come sarebbe straziante gestire e ogni singolo respiro, come sarebbe noioso supervisionare ogni minima azione, l’abitudine è il vantaggio di aver più tempo per pensare, non una  scusa per non aver bisogno di farlo.

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