sabato 21 maggio 2011

L'uomo di Neanderthal


L’uomo di Neandertal viveva allegramente nelle vaste distese del Caucaso, o forse più dalle parti dell’India, (io in realtà non l’ho mai capito di preciso dove si trovi il Caucaso). L’uomo di Neandertal rispettava tutte le leggi della fisica, quando inciampava cadeva a terra, quando aveva fame cercava del cibo, quando aveva freddo si copriva, e se aveva sonno dormiva, l’unica cosa che per adesso lo lasciava impassibile era l’accrescimento dei peli superflui, ne aveva davvero molti, ma non ci badava, tanto alla donna di Neandertal piaceva così com’era. anche con le unghie incarnite.

Reagiva, l’uomo di Neandertal. Era una serie di risposte agli stimoli esterni. Rispetto agli altri animali era solo più originale. Aveva una moltitudine di accessori. utensili, vestiti fatti a mano. Se era proprio estroso si metteva addirittura un osso fra i capelli. E avendo il pollice opponibile poteva gareggiare con gli altri uomini di Neandertal a quel gioco in cui vince chi col proprio pollice acciacca il pollice dell’altro, pugno contro pugno. Era così che si faceva bello di fronte alla donna di Neandertal.

Un giorno un uomo di Neandertal (per comodità lo chiameremo amichevolmente Ugo) mentre correva baldanzoso attraverso la pianura Caucasica, sbatte un piede e le conseguenti unghie incarnite sullo spigolo di un armadio dimenticato chissàdachi. L’urlo che lancia gli risuona nelle orecchie. Poi in testa. Continua a sentirlo anche quando ormai la bocca e chiusa e il dolore è passato. La sua voce in testa. Avremo tutti preferito un modo più elegante, un impulso nato specchiandosi nell’acqua di un limpido lago di montagna, un incontro con la donna di Neandertal più bella di tutto il Caucaso; fatto sta che in quel momento l’uomo di Neandertal Ugo prende coscienza di essere se stesso. La sua voce in testa. Lui è quella voce. Pensieri sconnessi che un giorno, da risposta, diventano domanda. Non muove un altro passo l’uomo di Neandertal. Ugo. Le domande gli implodono in testa, rimbalzano contro pareti senza uscita. E lo congelano. L’uomo di Neandertal si lascia morire di fame. Con la gola strozzata dalla paura, negli occhi anche il minimo movimento esterno era inspiegabilmente lancinante. Col passare del tempo la stessa cosa succede anche agli altri Uomini di Neandertal. Statue mute, obelischi d’incomprensione. Quelli più attaccati alla vita cercavano una soluzione leggendo gli scritti di Nietzsche, con risultati pressoché disastrosi. In pochi decenni la razza si estingue. giusto il tempo, per i più risoluti, di terminare la lettura di “Volontà di Potenza”.

Altre teorie affermano che l’uomo di Neandertal si sia estinto perchè troppo buono.
“era tanto una brava persona”
dicono tutti così.

Cosa succede dopo.

La selezione naturale ha portato allo sviluppo di una specie che riuscisse ad accompagnare a un pensiero strutturato e cosciente la soluzione al problema del senso.
La selezione naturale ha portato  allo sviluppo di una specie che nella maggior parte dei casi riesce a concepire o forse rimandare il problema del senso, come qualcosa al di fuori da se stessi.
La selezione culturale ha portato alla formazione di una narrazione tale da permettere lo sviluppo di un’intuizione comune di divinità.

In realtà negli ultimi tempi, con l’invenzione delle forbicine curve, il problema delle unghie incarnite è stato risolto brillantemente, con conseguente riduzione delle persone aventi piena coscienza di esistere. 

domenica 15 maggio 2011

Caratteri

Volevo guardarti da lontano, adesso che ho un po’ meno paura che tu possa scomparire se mi copro gli occhi con le mani, e quanto devo allontanarmi per ammirarti piccola nella tua interezza, il concetto di bipolarismo è riduttivo, siamo un coacervo di contraddizioni ragionevoli e bisogna soltanto allenarsi il cervello a cogliere vapori di unicità, che poi il cervello principalmente dovrebbe far quello. Sono nel prato dove giocavo da bambino, con gli uccelli che cigolano e il dondolo che cinguetta e le ombre degli uccelli a frugare fra i trifogli, la casa in primavera è ancora mia. Ieri cercavo di insegnare il mio nome a un piccolissimo cugino con gli occhi grandi e neri, ecco io ti insegno il mio nome, ripetilo come se fosse soltanto un suono, che racchiuda quello che ti trovi davanti, pensavo che tutto questo abbia una grande carica simbolica e lui rideva, senza pronunciarmi. E poi c’era il fratellino più grande che chiedeva continuamente “perché” e mangiava le prime ciliegie di maggio e chiedeva accovacciato sul buco di una botte di legno, di uscire fuori al mostro che ci avevo appena infilato, che era timido e parlava con la mia voce fra i denti in falsetto. Credo che da piccolo gli somigliassi, ma lui gioca già a calcio. Al cimitero di paese abbiamo incrociato uno zio di mia madre che si è trasformato nel suo vecchio nonno, forse non siamo che la stessa persona che si declina infinite volte e il tizio che vedo muoversi dietro la finestra, dal balcone della cucina, sono io in un altro momento della mia vita, reincarnazione continua e simultanea di un unico uomo e di un'unica donna che non fanno altro che fluire ed evolversi, e a volte riescono anche a incontrarsi, che è una sintesi ulteriore, di unicità.