giovedì 20 maggio 2010

Aspettando il sole...


All'alba la città è uno sbadiglio davanti allo specchio
all'alba la città è degli spazzini
ti inseguono nei vicoli deserti
ti insegue il rumore dei camioncini spingendoti per scale impraticabili
che anche tu sei uno scarto della notte prima
e non vuoi che ti vedano
fra lo sporco dei marciapiedi
impronte e petali calpestati
il vomito della notte come traccia immonda smascherata dalla luce nuova del giorno
all'alba la città è dei furgoni delle pasticcerie
all'ingresso dei bar appena riaperti e lucidamente vuoti
all'alba la città è degli edicolanti, sistemano i giornali che ancora nessuno ha letto
notizie ancora realmente nuove. qualche ora di gloria prima che diventino passato
All'alba la città è degli untori, che spargono all'uscita dei negozi fragranze invitanti
dolci appena sfornati, vestiti puliti di nuovo, pane caldo, uffici di lisoform
libri chiusi e caffè
all'alba la città è degli attacchini che srotolano ortogonalmente i loro manifesti giganti
inzuppando barili di colla
all'alba la città è dei piccioni grassi che gozzovigliano negli ultimi resti dell'immondizia
all'alba la città è della nebbia. come impacchettata e infiocchettata
un regalo da scartare delicatamente nello scricchiolio del cellophane che tanto è trasparente
e già si vede quello che c'è sotto, non c'è fretta.
All'alba la città è un delirio di parole che riaffiorano compostamente in un sorriso appena abbozzato
"ma lo vedi che occhi che ha?"
vorresti salutare tutti ma non si può. in realtà (anche se non sembra) stanno dormendo e li sveglieresti.
te li immagini soltanto, qualche minuto prima
in bagno a sistemarsi, a maledire la sveglia, accaparrarsi minuti, stringere le scarpe
e chiudere il portone di casa. piano.
all'alba la città è il buon giorno dei pettirossi, canzoni fischiettate alle imposte sbarrate
"all my lovin I will send to you '"
due merli che si danno un bacio, appunti in tasca presi su un opuscolo dei testimoni di geova
un post-it da frigorifero buttato in terrà con i consigli per chi è rientrato tardi
"p.s. la differenza, in fondo, poteva riassumersi così: lui aveva bisogno di sottolineare quanto fossero simili, lei quanto fossero diversi."

conTORTO

non sono daccordo con voi
non sono daccordo su niente
egoista è solo chi viene chiamato così per primo.
potrebbero dirlo entrambi
dieci passi. uno sguardo
il primo a dirlo vince
l'altro viene bollato. egoista.

in realtà secondo la teoria della termodinamica due persone vicine
dovrebbero portarsi alla stessa temperatura
non è possibile che una rubi calore all'altra diventando calda a suo discapito
succede nei frigoriferi. (in natura no)
probabilmente quello dei frigoriferi è egoismo cattivo
l'altro invece, quello termodinamicamente concepibile
e egoismo buono.
non così negativo almeno. naturale.

secondo la termodinamica è solo il calore a spostarsi.

l'altruismo del fuoco finisce per spegnerlo
chi aggiunge legna lo fa perchè vuole scaldarsi.

sembra che nelle relazioni debba esserci sott'inteso inevitabilmente
un discorso di interessi.
finchè l'interesse è corrisposto ci si scambiano gli egoismi
l'uno con l'altro
e gli si da il nome di altruismo. una virtù.
in mancanza di corrispondenza lo stesso interesse
prima acclamato, diventa peccato imperdonabile
lo stesso gesto di benedizione
una condanna.

e non c'è ogettività né parametri di giudizio
eppure si finisce per essere giudicati
con presunta ogettività

i semafori agli incroci sono spenti da un pezzo.
non c'è nessun colore ad avvisarci
nessun colore ad illuminarci il viso nei film
se abbiamo fatto bene ad attraversare
lo sappiamo solo tre secondi dopo lo schianto.

Nicolismo

Di quei ritorni a casa con le chiavi in tasca.
I pugni a battere sul legno.
Battere sordo. Di rabbia.
La porta chiusa dell’appartamento.
“Dove cazzo sei. Perché non apri?
Perché non MI apri?!”
Nessuno si sveglia nel condominio, accendono solo le luci
E io capisco.

Di quelle notti logicamente allucinate
ritrovarsi a dormire stretti alla borsa del ghiaccio
ad affogare gli incubi del giorno nei deliri di un sonno
confuso da mille storie. Stiamo lavorando per voi

Dei meccanismi analizzati fino al dettaglio
Che nel dettaglio sta la bellezza
e la chiave dell’antiautocommiserazion
e
nascondersi dietro l’alibi dell’empatia
per non riconoscere i soliti vecchi limiti
maturati anch’essi. Insieme.

se tutto è importante
allora NIENTE è importante


che dietro la maschera c'è la carne nuda
e sulla carne nuda brucia più una carezza che un graffio.

Liberamente tratto

Esercizi di scrittura con le orecchie che fischiano. Fischiano di brutto e basta
Volevo dedicare una canzone a Laura ma il tipo mi ha fatto slittare chissà quando
Le provocazioni fanno riflettere: “Per essere realmente umili bisogna averci un ego gigante” perché un ego grande non ha bisogno di espandersi, di strabordare continuamente dai confini della propria individualità e invadere gli altri, con l’unico scopo di delineare e affermare se stesso.
Dalla finestra parlano nei termosifoni, sono nei termosifoni come in Eraserhead di Linch e ridono
La mente che cancella. Sono in molti mi tolgo le scarpe prima o poi e ridono. Ma hanno anche smesso, lei sospira, forse la prossima volta evito, ho il mento bagnato e anche la fronte, dovevo piangere quindi è stato inutile. Una tovaglia a quadri e capelli legati, via Armonica. Meglio evitare. Era spuntato il sole sotto gli aquiloni gialli del giorno prima e lui sfogliava pagine confusamente, cercando qualcosa che parlasse di lei mentre si lavava i denti, e allora continuava a sfogliare. Mi sa che se l’è presa, forse con i punti esclamativi.
Io non ho il pigiama ma ho molti punti esclamativi e una pienezza che mi divora. Fai come ti pare Holden Caulfield “certe cose mi lasciano secco se volete proprio saperlo”.Aplomb . Le parole sono in ogni caso un compromesso. Ognuno ha una serie di immagini sinaptiche collegate a ciascun vocabolo. Ognuno ha una serie di immagini rigorosamente differenti. Allora tanto vale buttarci qualche parola sconosciuta, nuova alla testa ma musicalmente azzeccata,RIVESTIRLA del concetto che vogliamo esprimere in quel momento, affidargli per qualche secondo un’immagine che non gli è propria, e successivamente dare qualche spiegazione. Riutilizzo creativo di vecchi oggetti in disuso. Come le sculture con bottiglie d’acqua da buttare, poi devi sempre stare a spiegare quello che volevi rappresentarci, con quell’ingorgo di plastica verde. Quando ignoriamo il significato di qualcosa ne analizziamo nei dettagli la composizione, osserviamo stolidamente bottiglie di plastica. Forse dovremo semplicemente seguirne i pensieri evocati. Melodie d’innocenza.

Elogio della fila


"è che la fila è una metafora della vita"
il filosofo sembrava quasi colpito. in un altro momento gli avrei spiegato
che davvero molte cose sono una metafora della vita
che ogni micro-cosmo conserva in se essenza e riferimenti alla realtà che lo contiene.
ma i discorsi intellettuali si fanno sulla "rive gauche"

secondo lei invece era migliore il concetto di "folla"
secondo me no.
se fossimo stati sulla "rive gauche" le avrei detto che topologicamente
il concetto di folla rimanda al lago, quello di fila a un fiume
e io un lago lo vedo fermo. il fiume scorre.

viviamo a stretto contatto con migliaia di persone
ma i nostri sguardi e i nostri percorsi sembrano saper soltanto
incrociarsi e ignorarsi.
cambiamo strada e distogliamo lo sguardo e questa
E' allucinante indifferenza
ma anche inevitabile conseguenza difensiva della bulimia cittadina.

evidentemente il contatto non è abbastanza "stretto".
non siamo abbastanza vicini nei condomini, 3 metri fra un pavimento e l'altro, fra una vita e l'altra
non siamo abbastanza vicini negli autobus e nelle strade, 50 centimetri d'asfalto.
in realtà non è così semplice, è anche una questione di tempo, non solo di spazi.

adoro fare file. adoro questo micro-cosmo.
te ne stai per delle ore ATTACCATO a persone
di cui non sai assolutamente nulla
e tuttavia sei costretto a condividerci qualcosa
l’attesa di una porta o di un cancello che prima o poi dovranno aprirsi
un obiettivo relativamente comune (aspettative e motivazioni varieranno da persona a persona)

succede che dopo qualche quarto d’ora di convivenza forzata
si aprono squarci d’intimità
si allentano le barriere auto-difensive
il senso del pudore
che da sempre ci vieta determinati comportamenti
che da sempre ci impone
di tenerci a una giusta distanza da chi non conosciamo

succede che ascolti i discorsi del vicino
e DEVI intervenire
sei li a farti i fatti tuoi, ad ingannare il tempo in qualche limitato modo
(limitato dallo spazio)
e finisce che senti il bisogno di dire la tua
nessuna presentazione
nessuna convenzione
sono intrusioni eroiche
contaminazioni
i capelli della vicina che ti finiscono in bocca
i messaggi al cellulare letti al di sopra delle spalle
le spinte a valanga partite chissàdachi
le scuse sincere per un piede pestato
il titolo del film che non ti veniva in mente
e tutte le piccole storie rubate con cortesia.




Se la fila è davvero una metafora della vita
Forse quello che ci manca
Nella vita
È sapere cosa stiamo aspettando

Diario: 20 aprile 1995


Ieri il mio papà mi ha regalato un regalo bellissimo. Me lo a portato quando è tornato da lavoro. Mi ha regalato un palloncino volante. Un palloncino volante è una specie di mongolfiera di carta stagnola colorata che vola. Non è proprio che vola come gli uccelli. Viaggia in su verso l’alto. Appena il mio papà l’ha lasciato si è subito arrampicato sul soffitto. Io non ci arrivavo a prenderlo. Il mio papà che è altissimo l’ha preso e me l’ha legato al polso. Mi ero dimenticato di dirlo che un palloncino volante ha un filo attaccato che si usa per tenerlo a terra . La mamma mi ha raccontato che un palloncino volante vola perché dentro ci soffiano dentro la stessa aria che c’è dentro il sole. Allora lui vorrebbe ritornarci nel sole. Ma io gli ho detto che se si avvicina troppo scoppia perché il sole è BOLLENTE! Comunque lo tengo sempre legato al mio polso perché non si sa mai. Dopo sono sceso ai giardinetti perché il palloncino doveva salutare il sole. Sulla panchina davanti alla rana saltellante c’era una ragazza seduta che piangeva. Io dondolavo sulla rana e gli chiedevo perché piangeva ma lei stava zitta muta e non diceva niente. Aveva la pelle bianca e un viso normale, dei capelli neri neri che gli coprivano gli occhi. Gli occhi non lo so di che colore erano perché erano coperti dai capelli però secondo me erano di colore blu, perché il blu è il mio colore preferito. Si beveva le lacrime con la bocca, come faccio sempre io quando la mamma non mi fa vedere la televisione dopo mangiato perché dice che fa male alla diggestione. Io non lo so che cos’è questa diggestione e allora piango perché voglio vedere i cartoni animati. Siccome non mi rispondeva sono andato alla fontanella a lavare il mio fazzoletto personale da raffreddore che è personale perché c’è scritto il mio nome e ci soffio il naso perché la mia mamma mi dice che se tiro su poi mi vanno le caccole in bocca e a me mi fanno schifo a mangiarle. Sono tornato alla panchina con il fazzoletto pulito pulito ma pieno di gocce, allora ho detto una bugia. Le bugie non si dovrebbero dire però se sono bugie buone forse se ci stai attento le puoi dire qualche volta. gli ho detto alla ragazza che poteva asciugarsi col mio fazzoletto, che però siccome avevo pianto tanto era bagnato zuppo di lacrime e che allora doveva smettere di piangere pure lei. Allora ha alzato la testa verso di me e ha tirato su col naso e io ho fatto una faccia un po’ schifata, ma non volevo che mi vedeva con quella faccia brutta, si spaventava e piangeva un'altra volta, allora gli ho detto che se voleva potevo lasciargli tenere un po’ il mio palloncino, bastava che non me lo faceva volare via e che era capace a sciogliere i nodi, perché io non sono capace neanche a fare il nodo delle scarpe e quando papà non mi vede mi infilo i lacci dentro i calzini così non se ne accorge nessuno. Allora la ragazza guardava il palloncino. Mi ha detto che era molto bello ma aveva paura di tenerlo perché ieri notte l’ha fatto volare via uno quasi come quello. Ed era per questo motivo che stava piangendo. Io gli ho detto che non era possibile. Perché i palloncini di notte non volano, perché di notte non c’è il sole e i palloncini volanti possono volare solo se vedono il sole e vogliono andare a trovarlo. Mi ha detto che quello era un palloncino strano. Non andava verso l’alto, FLUTTUUAVA (ha detto così) all’altezza della sua faccia. E mi ha detto pure che gliel’avevano legato troppo stretto al polso e che gli faceva molto male, allora lei lo ha sciolto un attimo per fare meglio il nodo, e quando l’ha sciolto in un secondo il palloncino aveva iniziato a salire e lei l’aveva perso. Gli ho detto che poteva fare un saltone lunghissimo e riprenderlo ma mi ha risposto che non valeva la pena, che il problema secondo lei era l’aria nel palloncino. Era l’aria ad essere sbagliata. Mi ha anche detto, con una faccia seria seria e la mano che mi accarezzava i capelli, che a volte la felicità è pesante. Io non ho capito che centrava la felicità coi palloncini volanti. E gli ho detto che magari non era colpa dell’aria ma del palloncino che non voleva volare. Io gliel’ho detto al mio palloncino che il sole è pericoloso e brucia, forse il tuo palloncino preferiva starsene tranquillo vicino alla terra, vicino a te a guardarti. Lei a un certo punto si è girata e ha smesso di guardarmi e di parlarmi. Poi la mia mamma mi ha chiamato dal terrazzo che era pronta la merenda. Allora io ho preso il palloncino e con impegno me lo sono slegato e l’ho attaccato alla panchina con il nodo più difficile che riuscivo a inventarmi, senza barare perché volevo stare tranquillo che non la lasciava sola e sono salito in casa a mangiarmi due fette giganti di pane olio pomodoro sale e un po’ di acqua per ammorbidire il pane.

Casualità Parallela Sincronizzata Condividi


Ci sono questi film in cui il protagonista non distingue la realtà dal sogno
Mi mettono un po’ d’ansia, se dovesse succedermi qualcosa del genere
Vorrei che ci fosse un sottotitolo in sovraimpressione
(si li dove di solito compaiono i numeri telefonici del televoto)
“ATTENZIONE: SOGNO”
Oppure un bollino. Blu. Con un bambino stilizzato che dorme
la solita immagine dei due che si incontrano sul marciapiede
teorizzata e sistematizzata: casualità parallela sincronizzata
ossia quando i due cambiano direzione nello stesso momento
e continuano a farlo ripetutamente
ciascuno in modo casuale, si ritrovano continuamente a intralciarsi la strada
“ti sei liberato del mio fantasma?”
È la voce di lei. Lui non sta ascoltando.
La risposta era un concetto. Davvero. Non bastava un’unità monosillabica.
Lo stomaco si era calmato presto. La testa macinava.
Proiettava un vecchio film. Nouvelle Vague. A proiettarlo in continuazione i fotogrammi sbiadivano.
Nuvole nella celluloide. All’ultima proiezione.
Intanto le mani scrivevano. Qualcuno ha detto che ogni volta che scriviamo un ricordo lo perdiamo.
In un qualche sequel della Storia infinita, a ogni desiderio espresso Bastian perdeva un ricordo.
E a me alla fine è rimasta solo una parola. Un nome. SOLO.
Come alla fine di Oceano mare. L’essenza.
Certe idee finiscono per allontanarsi dalla realtà. Quella l’aveva fatto.
O era proprio nata così, esule dal vero.
Non lo so a cosa pensa la gente quando non pensa a niente. Quando si lava i denti, quando riavvolge i rullini delle macchine fotografiche, quando dal parrucchiere tira indietro la testa per i lavaggio dei capelli e il parrucchiere fa è troppo calda? (l’acqua), quando aspetta il suo turno alla cassa (una volta dipanati eventuali dubbi sull’aver scelto o meno la coda più breve).
Io a volte quando non penso a niente penso a lei.
Che poi non è lei ma è una parola.
Una specie di telo sullo sfondo. Lo vedi quando non c’è niente da vedere.
Altrimenti vedresti quello che c’è dietro. Il nulla o qualcosa di simile.
Non che mi spaventi pensare al nulla. A volte lo faccio.
E’ più roba da filosofi, logisticamente non mi conviene pensarci troppo.
Logisticamente c’ho sempre messo un telo davanti.

Sai a cosa servono le stelle?! Servono a distrarci. Guardiamo le stelle, ci facciamo mille stucchevoli domande, anche molto poetiche. Così evitiamo di perderci nel vuoto dell’universo. Quando alziamo gli occhi.
È la voce di lui. Lei non sta ascoltando.

parole per tutti e per nessuno

Diglielo, che gli occhiali che indossi sono un regalo
che il suono del frigorifero in disavanzo termico non ti fa più paura da un pezzo
che sentire il rumore di una tosse secca e convulsa a volte ti fa interrogare sul sapore di tutti i respiri che spesso ti sei tenuto dentro
diglielo
che a startene per strada immobile prima che faccia scuro ti può colpire un refolo di caldo
una corrente del golfo aerea, arrivata chissà da dove, diglielo
che per essere snob con umiltà basta avere un minimo di autocoscienza e di autocritica
che la semplicità è una virtù e la complessità una condanna
che prima di affrontare un qualsiasi discorso uno dovrebbe verificare
che i rispettivi vocabolari mentali siano il pià possibile compatibili, diglielo che ogni notte fai un sogno
un sogno che rispetta le unità aristoteliche di confusione, inquietudine e sorpesa
e al risveglio ti ricordi i particolari più insignificanti, come quando hai rubato i porta-locandine dei giornali
che espongono le edicole.
una volta una aveva chiuso per cambio di gestione
sono rimaste fuori le notizie per giorni e giorni
e a passarci davanti avevo sempre 20 secondi di sorpresa
e poi realizzavo
che erano roba già successa, e il fatto che la trovassi esposta ogni giorno
di certo non li rendeva fatti nuovi. diglielo che aveva ragione Prevert
che i misantropi in realtà odiano una persona sola, loro stessi
che nelle tue foto, grazie al cross-processing, tutte le ombre sono nere
tutte le luci sono bianche che i neonati riescono a strillare per giorni interi
perchè respirano di diaframma diglielo che "dettaglio" non è sinonimo di "superfluo"
che etimologicamente parlando una crisi non è un momento di disperazione
ma una fase di analisi
giudizio
critica
diglielo
che vuoi vederla illuminata dalla luce di un falò estivo
le fiamme a separarvi
riscaldarvi
nascondervi e mostrarvi

A caso

era semplicemente questo il punto
tu continuavi a pervìncare, era un gesto alònimo
tredavi il pàntico nell'indolòso e dùlico sontagno
io contrilevo a volte, contrilevo per il semplice molato
e subito stanfavo, non ci trovavo niente di male
la gente estrica, giullareggia pomatosamente nel dilinguo stòmiro
che si forma subito dopo e subito prima un sospetto chelùso
adorniente e bindolo. sembrano forici, pedenti e sèntoli
ma quando l'integine intalpa e l'alamanto assonda dignitosamente
il suo piccolo intarsio di mètope, tu non ricordi o fai finta di
dimenticare l'estendizione che s'alluda invetica quando il cadeggìo di infranti polmi a me e solo a me ricenzato.
potevo giumpare, potevo pontarmi.
ho scelto l'egnazione.

In alto a sinistra.

starsene sotto la doccia è un bel posto per pensare
già scriverci diventa un problema, per non parlare del disagio ambientale
riassumendo il problema di tutto è ovviamente Laura
e la felicità se ne sta dinamicamente in bilico
come andarsene in bici, puoi startene fermo, ovvio
o puoi volarci, fra meraviglia e sgomento aumentando la velocità
o inopinatamente cadere
per rimanere in equilibrio DEVI muoverti, e cadere.
tremarci sopra, coi silenzi elegantemente riempiti
sfogliandosi qualche frase in testa in modo distratto
stavano a Napoli, una sera, a parlare in macchina
e non so se era merito del racconto
ma gli uscivano fuori gran discorsi
discorsi pieni, roventi,scagliati a velocità
cinematografiche. vivi.
tu non ti eri innamorata di me
eri innamorata di te stessa, non ti manco io
ti manca la donna che eri quando stavi con me.
e io ci pensavo. è un punto di vista da valutare. in ogni caso
che poi passa tutto attraverso di noi. ogni volta.
che tu non conosci una persona, ma l'immagine che di quella persona si forma
dentro di te. che è come dire: a te non piace lei, ma ti piaci tu come ti comporti tu quando stai con lei.
questo lo dice la teoria egocentrica.
ovviamente ci sono altre teorie.

dal mio punto di vista
sarebbe un disastro migliore ad averci la sicurezza
di un confronto verbale a tempo indeterminato
siete li in macchina. e avete tutta la notte per parlare
parlare allo sfinimento, da finire le parole, da consumare i bicchieri
d'acqua di plastica delle conferenze, ripetere le idee quando sono finite, avanzando verso l'alba
che è un po' come dipingere lo stesso soggetto a diverse ore del giorno
perchè alla verità ci si converge
solo dopo un certo periodo di tempo. e a certi livelli di conoscenza
si comunica con le parole, non c'è molto altro.

sono modi diversi di concepire la vita. c'è chi sottolinea ogni elemento con un colore diverso
dopo un po' di pratica finisce per fissarsi in testa una sorta di legenda mentale, col rosso le persone
col blu le idee, col verde le emozioni. schematizzazione perfetta e perfettamente rileggibile sia da se stessi
che dagli altri, una volta capito come funziona il gioco dei colori.
io invece prendo gli evidenziatori in mano a caso, e la scelta di cambiarli, scegliere COME cambiarli
è totalmente indeterminata e imprevedibile, ci sono dei pezzi illuminati di giallo e magari una frase in mezzo
tratteggiata di matita. e ogni concetto, una volta esaminato viene sottolineato con quello che ho in mano
non col colore che ci vorrebbe. non perdo tempo a farmi uno schema preparatorio. e gli altri non possono capisci gran che.
qualcosa ovviamente ci perdo.